Forme e volumi nel segno della continuità, ciclistica e motore completamente rivoluzionati. La nuova Himalayan 450 progredisce sotto ogni aspetto, incrementando la sua versatilità di utilizzo. Dinamica su asfalto e fuoristrada assolutamente convincente. Ed il nuovo mono da 40 cv mette d’accordo tutti grazie alla sua generosità ai bassi ed alla voglia di allungo. Best buy da 5.900 euro.

COME E’ FATTA

La nuova Royal Enfield Himalayan 450 rappresenta per molti aspetti una vera e propria rivoluzione rispetto alla precedente 411. Mantiene un evidente family feeling con la progenitrice pur crescendo nelle dimensioni e vantando adesso linee più morbide.

Sono motore e ciclistica a progredire in misura evidente. La prima si fonda su un telaio a doppio trave in tubi di acciaio, completato anteriormente da una forcella USD Showa, gratificante anche per l’occhio, con steli da 43 mm ed escursione di 200 mm. Immancabile, trattandosi di una Himayalan, il cerchio da 21”, che innalza già da solo la trasversalità di utilizzo di questa Enfield, frenato da un disco da 320 mm lavorato da pinza Bybre a due pistoncini paralleli ed attacco assiale.

Dietro troviamo un forcellone d’acciaio, piuttosto generoso in lunghezza, che ci lascia presagire ottime doti di trazione meccanica, oltre a contribuire ad una misura di interasse piuttosto importante, 1.510 mm. Su questo agisce un mono Showa, regolabile nel precarico, attraverso cinematismo progressivo che permette alla ruota 200 mm di escursione. Il cerchio da 17” è accoppiato ad un disco di dimensioni ragguardevoli, 270 mm, morso da pinza Bybre ad 1 pistoncino.

Debutta sulla Himalayan il nuovissimo monocilindrico di 452 cc bialbero 4 valvole, il primo motore di Royal Enfield raffreddato a liquido. La prestazioni aumentano in modo significativo rispetto alla precedente 411, con una potenza massima di 40 cv (+70%) a 8.000 giri/min ed una coppia massima di 40 Nm (+20%) a 5.500 giri/min, omologazione Euro 5+. L’erogazione viene gestita da un acceleratore ride by wire attraverso due differenti ride mode, altre premiere per il Marchio.

Peso in ordine di marcia di 196 kg, serbatoio di 17 litri.

Per ultimo, ma non certo ultimo, il nuovo display da 4” TFT a colori che integra il sistema di navigazione Tripper di Enfield e permette di visualizzare mappa ed indicazioni di navigazione, attraverso l’accoppiamento col proprio smartphone. E’ un sistema sviluppato in collaborazione con Google ma differisce dal tradizionale mirroring. Qui funziona attraverso l’app Royal Enfield ed al momento richiede di mantenere attivo lo schermo dello smartphone, con conseguente precoce esaurimento della batteria. E’ possibile invece leggere i dati di navigazione (senza mappa) con lo schermo dello smartphone spento. Immaginiamo potranno esserci rapide evoluzioni nel futuro. Comunque un plauso a Royal Enfield per aver previsto uno schermo così evoluto e ben leggibile su una moto di questa fascia di prezzo.

POSIZIONE DI GUIDA

Prima di tutto piace sottolineare come questa Himalayan 450 permetta al pilota di regolare la sella su due posizioni, 825 ed 845 mm (disponibile anche sella più bassa di 20 mm e sella Rally più alta di 10 mm). Per il mio metro e ottantuno ha funzionato benissimo al posizione più alta che permette una buona distanza tra piano di seduta e pedane (queste appena arretrate, in stile enduristico), quindi piega naturale delle ginocchia e tanto comfort. Trattandosi di una monocilindrica ci si potrebbe aspettare un serbatoio dai fianchi più stretti, ma evidentemente i 17 litri di volume chiedono un piccolo pegno, senza compromettere il buon inserimento delle ginocchia.

Il manubrio è appena meno largo rispetto alle moto di stampo prettamente fuoristradistico, lo immaginiamo un vantaggio soprattutto nella guida in città per via di un ingombro relativamente ridotto, garantendo comunque una buona leva in manovra. E’ rialzato, con le estremità moderatamente rivolte verso il pilota e discretamente vicino al busto. Lo si impugna con naturalezza mantenendo morbide le braccia, un vantaggio non da poco soprattutto per garantire comodità anche dopo diversi chilometri.

Davvero buone notizie anche per il passeggero: pedane distanti ed avanzate, sella ben imbottita ed ambia, e per incrementare l’equilibrio un paio di maniglioni ricavati dal telaio del portapacchi.

NEL MISTO

Vi confesso che dopo la lettura della scheda tecnica ho approcciato le prime curve con cautela. 1.510 mm di interasse, 196 kg di peso in ordine di marcia, ruota anteriore da 21”, lasciavano presagire una moto sicuramente stabile ma anche un po’ ostica in inserimento e nell’invertire la traiettoria.

Immaginatevi la sorpresa quando mi sono trovato al manubrio di un mezzo ben messo su strada, più neutro di quello che i 200 mm di escursione delle sospensioni facessero pensare e soprattutto piuttosto duttile ai comandi. Lasciamo perdere le velocità turistiche, dove ogni pensiero del pilota viene tradotto naturalmente nel disegno della migliore traiettoria. E concentriamoci invece su ciò che accade quando si alza il ritmo. Qui arriva la sorpresa. Ad ingresso curva richiede appena di essere contrastata al manubrio, ed una volta assestato l’angolo di piega fa tutto da sola, mantenendo imperturbabile la traiettoria impostata, qualsiasi siano le condizioni dell’asfalto. Sarei curioso di provarla con coperture dal profilo più appuntito rispetto alle Ceat di serie per cercare un pizzico in più di agilità, visto che la stabilità appare sempre ottima. Nelle esse la possiamo aiutare accennando una guida di corpo per godere di una buona reattività. Sia chiaro, non sarà mai la moto col 21” più agile che abbiate guidato, ma rimane comunque divertente oltre ogni attesa. In virtù del buon lavoro delle sospensioni e delle quote generose, spesso a centro curva ci si rende conto di avere ancora una parte del suo potenziale da utilizzare. Così ci si trova a riprendere in mano l’acceleratore ben prima di quello che si pensi. Lei non si scompone, nessun sottosterzo, rimane stretta sulla linea impostata pur iniziando a guadagnare velocità. Davvero difficile pretendere di più da un mezzo disegnato per essere a proprio agio anche fuori dai nastri asfaltati.

La taratura delle Showa, appena più libere nella prima parte di escursione e quindi più sostenute aiuta non poco ad avere pieno controllo, anche nel caso di decelerazioni più importanti. L’avantreno affonda ma il beccheggio rimane su livelli assolutamente tollerabili. Vero è che non servirà a molto staccare all’ultimo metro, visto che per andare spediti sarà molto più utile descrivere traiettorie rotonde e raccordate, intervenendo senza accanimento sui freni, sfruttando la loro morbidezza e modulabilità. La potenza c’è ma merita probabilmente un approfondimento. Il posteriore è davvero un portento, ci piace immaginare la sua utilità soprattutto in condizioni limite, in coppia con moto a pieno carico. Peccato solo che la leva risulti un po’ alta, costringendo ad alzare appena il piede destro dalla pedana per iniziare a premerla. Nulla di stancante, semmai un po’ fastidioso nei tratti più guidati. Per inciso, in piedi in offroad la sua altezza risulta perfetta.

Il disco singolo davanti se la cava discretamente. Di solito uso il dito medio per tirare la leva. Ma qui per godere di prestazioni convincenti (ad esempio nel caso di una frenata d’emergenza) meglio tirarla con un paio di dita. In questi casi è inevitabile una risposta un po’ spugnosa, ma immaginiamo sia lo scotto da pagare per un impianto che, sullo sterrato convince proprio in virtù di una evidente morbidezza.

Si vabbè, ma il motore, direte voi… Avete ragione, ragazzi! Tante aspettative erano riposte sul nuovissimo mono, ed anche qui possiamo dire che sono state ampiamente soddisfatte.

E’ capace di riprendere in sesta dai 2.500 giri, accompagnandoci con belle pulsazioni di bassa frequenza. Si stabilizza intorno ai 3.000 (dove è già presente il 90% della coppia), poi superati i 5.500 sembra incrementare la spinta almeno fino ai 7.000. A mio giudizio inutile arrivare alla soglia degli 8.000, dove esprime la potenza massima, perché cambiando rapporto con un piccolo anticipo si “atterra” sui regimi più goduriosi, quelli di mezzo, dai 4 ai 6.000 giri, dove inizia ad essere percepibile anche la voce di aspirazione, che galvanizza sempre. Peccato per alcune vibrazioni di alta frequenza (bassa intensità, per fortuna) percepibili soprattutto su sella e pedane a partire dai 6.000.

Ho trovato molto gratificante guidarlo con il classico rapporto in più, che a mio giudizio permette comunque di recuperare velocità in uscita, senza affannarsi troppo sul cambio, così da interpretare al meglio anche le volontà della ciclistica, capace di premiare uno stile di guida veloce ma non affannato.

Soprattutto nelle soste a motore acceso è possibile avvertire il rumore della ventola del radiatore. Ma onestamente, anche se la giornata di prova era più di stampo estivo che primaverile, non abbiamo mai avvertito calore su cosce e ginocchia. Mi piacerebbe ripetere l’esperimento in una lunga sessione cittadina, immaginando che l’Himalayan verrà convenientemente utilizzata anche nel collaudatissimo percorso casa-ufficio.

Ottima la trasmissione. Cambio super morbido, con gli stivali da off-road quasi non mi accorgevo di aver cambiato rapporto, innesti precisi, corsa alla leva nella norma per una unità turistica. La frizione risulta modulabile, non perde registro neanche quando strapazzata in fuoristrada e richiede una trazione alla leva piuttosto modesta. Scongiurato qualsiasi effetto on-off anche in virtù della risposta dell’acceleratore ride by wire sempre morbida anche nel ride mode Performance, il più appuntito dei due disponibili, quello che abbiamo utilizzato in ogni scenario con soddisfazione.

Sarei curioso di provare una Himalayan 450 equipaggiata con cerchi tubeless (disponibili già al momento dell’acquisto), immaginando un guadagno sensibile nella perdita di peso con evidenti benefici effetti in termini di agilità.

FUORISTRADA

Abbiamo potuto provare per diversi chilometri la nostra Himalayan 450 sulle bellissime strade bianche nell’entroterra olbiese. Un’esperienza immersiva difficile da dimenticare, fuori dal traffico (già comunque modesto su strada), su sentieri scoscesi e stretti nella prima parte e quindi larghi e più veloci nella seconda, tra macchia mediterranea e conifere.

Convincente l’ergonomia nella guida in piedi, grazie al manubrio sufficientemente alto da permettere al busto di stendersi completamente garantendo anche un pizzico di morbidezza sulle braccia. Le ampie pedane (con inserto in gomma removibile) garantiscono un saldo appoggio in ogni frangente mentre forse avrei preferito trovare un adesivo abrasivo ai lati del serbatoio per incrementare il grip delle ginocchia.

Già dai primi metri ci si rende conto del buon funzionamento delle sospensioni che seppur privilegino nel set-up la guida stradale, si dimostrano in grado di fungere da filtro adeguato anche sulle asperità più secche, garantendo un livello di controllo piuttosto soddisfacente, anche per chi, come me, non ha grossa esperienza in off-road.

La buona mescolanza tra cinematismo progressivo, lunghezza del forcellone e morbidezza dell’erogazione del motore permette di giocare col posteriore, perdendo aderenza a piacimento o piuttosto mantenendola per superare indenni un passaggio più difficile.

Una moto con la quale si entra in simbiosi velocemente, incrementando in modo naturale ritmo e piacere di guida. Semmai il consiglio, per chi volesse utilizzarla spesso in fuoristrada, è di equipaggiarla con pneumatici più tassellati rispetto ai Ceat di primo equipaggiamento, di indole maggiormente stradale.

Ma arriviamo ad un nodo da sciogliere, ovvero come la massa (196 kg in ordine di marcia) influisca sulla dinamica. Devo confessarvi che inizialmente ero un po’ titubante a lasciarmi andare con l’acceleratore. Vi ho già detto di quanto sia facile prendere velocità con questa Himalayan, ma la mia paure erano rappresentate dalla possibilità di avere scarso controllo in velocità ed ancora peggio di non riuscire a rallentarla adeguatamente prima di un tornante.

Mi viene da pensare che una buona parte del peso sia nella parte inferiore della moto, perché risulta sempre intuitivo condurla, rimanendo anche stabile una volta lanciata. E poi quel freno posteriore si lascia davvero amare. Potente, eccome, ma anche modulabile, lo possiamo utilizzare senza ABS o piuttosto, se non vogliamo avere troppo a cui pensare e/o siamo inesperti, con ABS, visto che non risulta mai invasivo, ed anzi permette alla ruota di bloccarsi lasciando per un momento il retrotreno scivolare sullo sterrato. Buono il freno motore, che abbiamo apprezzato in una serie di tornanti in discesa affrontati in seconda, permette di ridurre l’uso dei freni.

PREZZO

5.900 euro per metterla nel box. Un prezzo davvero lodevole, da assoluto best buy, rispetto alle qualità dinamiche ed alla dotazione completa, senza dimenticare la garanzia di 3 anni.

Written by vivalamoto